NONIMPORTAZIONE. La non importazione era una forma di sanzione economica con cui le colonie cercarono in diverse occasioni di fare pressione sul Parlamento per abrogare atti che trovavano offensivi o illegali. L’idea che le colonie dovessero unirsi nel boicottare l’importazione di beni britannici fu proposta per la prima volta in una riunione cittadina di Boston il 24 maggio 1764 che era stata convocata per denunciare le disposizioni dello Sugar Act. La potenziale efficacia di una protesta economica pacifica fece appello agli attivisti altrove, ed entro la fine dell’anno i commercianti di altre colonie, in particolare New York, avevano accettato, o avevano subito pressioni, di accettare la non importazione. Lo Stamp Act del 1765 diede ulteriore urgenza al programma, ma l’abrogazione dell’atto, la cui notizia arrivò a New York il 26 aprile 1766, portò all’abbandono della non importazione.
Il Townshend Revenue Act del 1767 rianimò l’idea della non importazione, e alla fine del 1769 solo i mercanti del New Hampshire non si erano uniti alle Associazioni locali che sorsero per imporre la non importazione. Gli accordi furono abbastanza efficaci che il valore delle importazioni britanniche fu ridotto di quasi il 40% tra il 1768 e il 1769. Quando i dazi Townshend furono limitati al tè nell’aprile 1770, l’apparenza di un certo successo e la riluttanza a sopportare ulteriori dolori economici portarono i mercanti e altri ad abbandonare la non importazione, nonostante gli sforzi degli attivisti di Boston per mantenere vivo il movimento. Il crollo della non importazione iniziò ad Albany, Providence e Newport nel maggio 1770 e si diffuse a New York City in luglio; entro la fine dell’anno Filadelfia (12 settembre), Boston (12 ottobre) e Charleston, Carolina del Sud (13 dicembre), si erano ritirate dalle associazioni di non importazione. La Virginia, che aveva organizzato la prima associazione, abbandonò infine l’idea nel luglio 1771.
L’efficacia della non importazione dipendeva sempre dall’azione collettiva e dall’effetto cumulativo. I commercianti che originariamente sostenevano la non importazione potevano in seguito prendere l’iniziativa di porvi fine quando questa andava avanti troppo a lungo e li portava sull’orlo della rovina economica. La non-importazione dipendeva dall’applicazione vigile e diffusa da parte di gruppi extralegali locali che erano disposti a usare minacce e intimidazioni per assicurarsi la conformità, e alcuni commercianti erano inorriditi dal fatto che questa tattica stava passando dal loro controllo nelle mani degli attivisti e della mafia. La non importazione si spense nel 1771 perché il dolore era troppo grande, la provocazione troppo piccola, l’impatto sulla politica imperiale troppo poco chiaro e la prospettiva di instabilità sociale troppo grande. Il collasso della non-importazione fu una grave battuta d’arresto per gli attivisti, che lamentavano che “lo spirito del patriottismo sembra scadere in America in generale” (Miller, p. 315).
La non-importazione fu ripresa un’ultima volta nel settembre 1774. A quel tempo il primo Congresso Continentale la raccomandò come azione appropriata per protestare contro gli Atti Intollerabili.
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BIBLIOGRAFIA
Miller, John C. Origins of the American Revolution. Boston: Little, Brown, 1943.
rivisto da Harold E. Selesky