Se si dovesse nominare il compositore che ricuce la giuntura tra il Rinascimento e il Barocco, sarebbe probabilmente Claudio Monteverdi – lo stesso compositore che è ampiamente e frequentemente accreditato per aver fatto il taglio in primo luogo. Il percorso dalle sue prime canzonette e madrigali al suo ultimo lavoro operistico esemplifica i cambiamenti nel pensiero musicale che hanno avuto luogo negli ultimi decenni del XVI secolo e nei primi del XVII.
Monteverdi nacque a Cremona, Italia, il 15 maggio 1567. Già da giovane il suo talento musicale era evidente: la sua prima pubblicazione fu rilasciata da un’importante casa editrice veneziana quando aveva 15 anni, e all’età di 20 anni una varietà di sue opere era andata in stampa. Il suo primo libro di madrigali a cinque voci, pur portando una dedica al suo mentore cremonese Ingegnieri, riuscì a stabilire la sua reputazione al di fuori della sua città natale di provincia, e lo aiutò a trovare lavoro alla corte del Duca Gonzaga di Mantova. Le sue composizioni del periodo mantovano tradiscono l’influenza di Giaches de Wert, al quale Monteverdi succedette alla fine come maestro di cappella. Fu intorno a questo periodo che il nome di Monteverdi divenne ampiamente conosciuto, in gran parte a causa delle critiche mossegli da G.M. Artusi nel suo famoso trattato del 1600 “sull’imperfezione della musica moderna”. Artusi trovava inaccettabili le eterodossie contrappuntistiche di Monteverdi e citava diversi estratti dei suoi madrigali come esempi di decadenza musicale moderna. Nella risposta che apparve nella prefazione al quinto libro di madrigali di Monteverdi, il compositore coniò una coppia di termini inestricabilmente legati alla diversità del gusto musicale che venne a caratterizzare i tempi. Egli si riferiva al vecchio stile di composizione, in cui le regole tradizionali del contrappunto sostituivano le considerazioni espressive, come la prima prattica. La seconda prattica, caratterizzata da opere come i Crudi Amarilli, cercava di mettere la musica al servizio del testo con qualsiasi mezzo necessario – compreso il contrappunto “scorretto” – per esprimere vividamente il testo.
Nel 1607, la prima opera di Monteverdi (e la più antica ad abbellire i palcoscenici moderni con una certa frequenza) L’Orfeo, fu rappresentata a Mantova. Seguì nel 1608 L’Arianna, che, nonostante la sua popolarità all’epoca, non sopravvive più se non nei libretti e nel famoso lamento del personaggio del titolo, un arrangiamento polifonico del quale apparve nel suo sesto libro di madrigali (1614). I disaccordi con la corte dei Gonzaga lo portarono a cercare lavoro altrove, e finalmente nel 1612 fu nominato maestro di cappella della cattedrale di San Marco a Venezia.
I suoi primi anni a Venezia furono un periodo di ricostruzione della cappella, e passò del tempo prima che Monteverdi fosse libero di accettare commissioni al di fuori dei suoi doveri alla cattedrale. Nel 1616 compose il balletto Tirsi i Clori per Ferdinando di Mantova, il fratello più favorito del suo defunto e antipatico ex datore di lavoro. Gli anni seguenti videro alcune imprese operistiche abbandonate, l’opera ormai perduta La finta pazza Licori, e il dialogo drammatico Combattimento di Tancredi e Clorinda.
Gli anni 1630 furono anni di magra musicale per Monteverdi. Le battaglie politiche e un’epidemia di peste lo lasciarono senza commissioni né da Mantova né da Venezia. Tuttavia, con l’apertura dei teatri d’opera veneziani nel 1637, la carriera operistica di Monteverdi fu ripresa. Una nuova produzione de L’Arianna fu messa in scena nel 1640, e tre nuove opere apparvero entro due anni: Il ritorno d’Ulisse in patria, Le nozze d’Enea con Lavinia (anch’essa ora perduta), e L’incoronazione di Poppea. Questa rinascita precedette di pochi anni la sua morte: morì a Venezia nel 1643.